La gravidanza modifica la funzione tiroidea tramite il Beta-hCG,
l’aumento delle proteine nel sangue e le modificazioni del sistema immunitario.
Durante tale periodo la produzione di ormone tiroideo subisce nella donna un aumento del 30-40%.
La gravidanza può rendere manifeste o accentuare patologie tiroidee precedenti il parto che possono compromettere la salute della mamma nonché del nascituro.
Le disfunzioni tiroidee legate ad un eccesso di ormone tiroideo pongono i problemi legati all’utilizzo dei farmaci anti tiroidei (ovvero che bloccano l’eccesso di tale ormone appunto) per il rischio di questi ultimi di causare difetti fetali; quindi il loro utilizzo viene limitato ai casi di concomitante ipertiroidismo fetale, evidenziato da una scarso accrescimento intrauterino o da una frequenza cardiaca fetale superiore ai 160 battiti al minuto, posto sempre che tali farmaci vengano usati solo a bassi dosaggi.
Nel 5% delle donne gravide si osserva invece uno stato di ipotiroidismo, ovvero una condizione in cui la bassa produzione di ormone tiroideo rischia di provocare un ritardo nello sviluppo neurologico del nascituro, gozzo neonatale, aborto, basso peso alla nascita e parto prematuro.
È per questo che durante la gravidanza si rende necessaria l’assunzione di levotiroxina, ormone fisiologicamente già prodotto dall’organismo umano, quindi di nessun rischio per il feto. La sua somministrazione per bocca permette infatti di ristabilire la corretta quantità di ormone tiroideo necessaria per un proseguo corretto della gravidanza e dello sviluppo del feto.
La tiroidite postpartum (quindi successiva al parto) è invece una disfunzione tiroidea che si risolve in pochi mesi e spesso non necessita di alcuna cura.
Le patologie nodulari benigne durante la gravidanza e l’allattamento possono mostrare un peggioramento in termini di dimensioni; anche in questo caso con le cure opportune si potrà limitare questo aumento, senza rischi per il bimbo e permettendo alla donna di continuare l’allattamento.
Discorso a parte va fatto per le patologie maligne tiroidee, seconde per frequenza (dopo il carcinoma al seno) nell’essere diagnosticate nelle donne in gravidanza, che hanno una incidenza di una donna ogni 10.000 gravidanze.
In questi casi, l’intervento può essere rinviato a dopo il parto senza significativi rischi di peggiorare la prognosi.
Dunque una corretta diagnosi, tramite dosaggi ormonali ed ecografie tiroidee (procedure prive di rischio per il nascituro), delle condizioni di ipotiroismo, ipertiroidismo e patologie nodulari della tiroide incorse durante o precedenti la gravidanza, potrà prontamente indirizzare verso le cure appropriate in relazione al caso, senza rischi per la madre o per lo sviluppo del neonato.